Dal nostro inviato GILBERTO SCALABRINI
Norcia, 17 Dic. 2024 – Quando mi metto in viaggio verso Norcia, il termometro segna appena 12 gradi, ma so già che quella cifra è destinata a precipitare. Appena imbocco la Valnerina, la temperatura comincia la sua discesa, lenta ma inesorabile: 4, 3, 1 grado.
Il calo più brusco lo avverto a Casali di Serravalle, dove decido di fermarmi per un ginseng caldo. All’ingresso del bar, due gatti sono acciambellati, raggomitolati su sé stessi, come se volessero proteggersi dal freddo pungente che spacca l’aria.
Lì accanto scorre, rapido e spumeggiante, il fiume Corno, le cui acque sembrano un richiamo gelido alla bellezza della stagione. Tutt’intorno, il paesaggio appare avvolto in una coltre bianca. Non è neve, ma la brina della notte: la temperatura scesa abbondantemente sotto lo zero ha cristallizzato ogni cosa in un manto di ghiaccio granuloso, rendendo i campi morbidi e ovattati come in un dipinto.
A rendere tutto ancora più fiabesco, ci pensa il vapore acqueo che si solleva dal terreno e si condensa in una sorta di nebbia leggera. È un velo impalpabile che avvolge ogni forma, sfuma i contorni e crea l’illusione che il mondo, poco a poco, stia svanendo. Più avanzo, più quella foschia si dissolve, come per magia.
Arrivato finalmente a Norcia, il sole mi dà il benvenuto, e la temperatura risale, restituendo un po’ di tepore. La città, protetta e quasi custodita dalle sue antiche mura – ferite, ma non vinte, dal terremoto del 2016 – mi accoglie con la sua resilienza. Piazza San Benedetto è un cantiere a cielo aperto, ma tra le pietre e le impalcature aleggia ancora quell’atmosfera calda e antica che sa di storia e di incanto.
Qui il passato non si limita a sopravvivere: rivive e si intreccia con un presente che custodisce, con amore, ogni segreto.
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