
Dal nostro inviato GILBERTO SCALABRINI
Valnerina, 19 aprile 2025 – C’è una valle, in Umbria, dove le storie sembrano sospese tra il cielo e le montagne. Una valle che parla a voce bassa, come chi ha molto vissuto e poco da dimostrare. Chi ci va spesso lo sa: in Valnerina, ogni pietra racconta, ogni silenzio contiene una memoria.
È qui che vive Pietro, quasi novant’anni, in una casa di pietra affacciata sul versante nord di un paese che ormai somiglia più a un ricordo che a un luogo. Le case intorno sono chiuse, molte vuote dopo il terremoto del 2016, altre in vendita, altre ancora in rovina. Il vento le attraversa come un custode gentile. E le campane della chiesa non suonano più.
Un tempo, dice Pietro, la Pasqua era una festa piena: la messa, le risate dei bambini che correvano dietro alle uova sode colorate, il profumo del pranzo che usciva dalle cucine e invadeva le strade. Oggi, invece, il paese è muto. E lui resta lì, fedele al ritmo delle sue giornate, a quella fragile ma ostinata dignità del vivere.
Ogni mattina della Settimana Santa si è alzato presto. Ha cucinato una frittata con le erbe raccolte il giorno prima, ha inzuppato il pane raffermo nel latte caldo, ha apparecchiato per due. Come sempre. Da quando la moglie non c’è più. Un gesto che non è abitudine, ma amore che resiste.
Poi, martedì, un suono inaspettato alla porta. Pietro si è fermato un istante. Ha aperto. Davanti a lui, il postino del paese a valle, quello che ogni tanto passava con una lettera, un giornale e una parola buona. Ma stavolta aveva un dono: un uovo di cioccolato. “Viene dalla scuola elementare”, ha detto. “I bambini hanno scritto dei biglietti per gli anziani soli”.
Allegato all’uovo, un biglietto. Piccolo, piegato in due, scritto con una calligrafia incerta ma piena di cuore:
“Caro nonno che non conosco, ti mando un abbraccio con le mie parole. Buona Pasqua, da Sara, 8 anni.”
Pietro lo ha letto in silenzio. Poi ha sorriso piano, come chi ritrova qualcosa che credeva perduto. Ha stretto quel foglietto tra le dita come fosse un tesoro. E forse lo è. In mezzo alla solitudine di un borgo che resiste alla dimenticanza e allo spopolamento, anche un biglietto da una piccola sconosciuta può essere una carezza. Un ponte. Una piccola rinascita.
“Lo mangerò a Pasqua”, ci dice mostrandoci l’uovo con gli occhi lucidi. E in quel momento, mentre le nuvole risalgono lente i pendii dei monti e il vento gioca a rincorrersi tra i rami degli alberi, capiamo che sì, anche quest’anno, la Pasqua è arrivata. A modo suo. Con un biglietto, un gesto, un cuore che non si arrende.
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