La Madre Badessa del monastero delle clarisse di Santa Lucia racconta la sua esperienza vocazionale. Era una ragazza comune, impegnata in studi di scienze naturali e attiva nella vita della parrocchia, con una passione per il canto, il ballo e il volontariato, tra cui l’aiuto ai poveri e ai disabili. Nel 1988 ha sentito la chiamata del Signore, che l’ha condotta alla vita monastica
Dal nostro inviato GILBERTO SCALABRINI
Foligno, 11 dic. 2024 – Le suore di clausura rappresentano una delle espressioni più affascinanti e misteriose della vita religiosa cattolica.
Sono donne che dedicano la loro vita alla preghiera, al silenzio e alla contemplazione, vivendo isolate dal mondo esterno. Su di loro si sono spesso alimentate leggende, ma la realtà è ben più sorprendente di quanto si possa immaginare.
Abbiamo avuto il privilegio di incontrare la Badessa del monastero delle clarisse di Santa Lucia a Foligno, sorelle povere di Santa Chiara d’Assisi. Quando ci accoglie, suor Maria Maddalena Terzoni ci guarda attraverso la grata con occhi sorridenti e sereni. Dal primo istante, la sua presenza trasmette una pace che non ha bisogno di parole.
Il nostro dialogo è semplice e diretto, spaziando tra temi di vita monastica e questioni più universali. Suor Maria Maddalena risponde con una sincerità disarmante, accogliendo ogni domanda con un sorriso e una disponibilità rara.
Fra due giorni, il 13 dicembre, si celebra Santa Lucia. Quest’anno la Chiesa ha concesso il dono dell’indulgenza plenaria quotidiana per chi visita la vostra chiesa. Cosa bisogna fare per ottenerla?
«Venite nella nostra chiesa e condividete con noi un momento di preghiera e di Eucaristia. Confessatevi durante la settimana, partecipate alla comunione sacramentale e recitate alcune preghiere dedicate a Santa Lucia, Santa Chiara, al Santo Padre, il Credo e il Pater Noster».
Suor Maria Maddalena, da dove viene?
«Sono originaria di Milano».
Quando è entrata in clausura e perché ha scelto questa vita?
«Sono entrata nel 1988. È stata una risposta a una vocazione, una chiamata del Signore che ha intercettato il mio desiderio profondo di dedicarmi non solo a me stessa, ma anche agli altri».
Perché scegliere la clausura e non un’altra forma di impegno?
«Dentro di me ho sentito una chiamata radicale, totale. La clausura è una scelta che coinvolge anche il corpo, in una fisicità molto concreta. Il Signore mi ha ispirato a questa pienezza, senza la mediazione di un servizio pratico come quello ai poveri, che pure avevo vissuto prima di entrare».
Com’era la sua vita prima di questa scelta?
«Ero una ragazza come tante. Studiavo scienze naturali all’università, partecipavo alla vita della parrocchia, recitavo in musical su San Francesco e Santa Chiara. Mi piaceva cantare, ballare, aiutavo alla mensa dei poveri e seguivo i portatori di handicap. Quando dissi ai miei amici che sarei entrata in clausura, nessuno ci credeva: ero sempre in movimento!»
Qual è il ricordo più vivo che ha del suo passato?
«Stranamente, ricordo l’ultima lezione di vulcanologia all’università. Davanti alla meraviglia della Terra pensai: “Signore, non sto lasciando qualcosa di brutto, ma qualcosa di bello per qualcosa di ancora più bello”».
Quante sorelle vivono con lei in comunità?
«Siamo in 27. La più giovane ha 34 anni, la più anziana 93. Una decina di sorelle hanno tra gli 80 e i 90 anni».
Come filtrate il mondo esterno qui dentro? Guardate la televisione? Usate internet?
«Di solito non guardiamo la televisione. Leggiamo i giornali che arrivano e usiamo un po’ internet per inviare e ricevere email. Non siamo sui social per scelta. Il mondo esterno arriva a noi attraverso gli incontri con le persone, nel riverbero dei loro cuori».
Cosa vi chiede chi bussa alla porta della clausura?
«Le persone ci confidano i loro problemi, malattie, sofferenze, dolore che provano genitori, nonni e figli di coppie separate. Ci parlano di solitudine, del bisogno di trovare un senso agli eventi della vita. La richiesta più frequente? Pregare per loro».
Quando escono, si sentono sollevati?
Sorride: «Bisognerebbe chiederlo a loro! Spesso ci dicono di notare sui nostri volti una serenità che li rincuora. Siamo qui per indicare una speranza, una speranza certa».
Quanto è importante il silenzio in monastero?
«Il silenzio è fondamentale, ma non è vuoto: è un silenzio che riempie. La nostra vita è profondamente fraterna. Anche nel silenzio, coltiviamo relazioni autentiche. È un tempo prezioso, in cui le domande profonde trovano spazio».
Oggi, rifarebbe la stessa scelta?
«Assolutamente sì».
La grata è un simbolo di reclusione?
«Per noi è una finestra, non una barriera. È il segno di un dialogo diverso, un invito a parlare di Dio».
Come si vive la rinuncia alla maternità?
«Non ho mai rinunciato alla maternità: la vivo in altri modi. Certo, manca l’abbraccio fisico di un bambino, ma c’è la dedizione a nutrire la vita con la V maiuscola».
Parlate mai di politica?
«Sì, leggiamo i giornali e discutiamo di attualità, anche delle sofferenze che le persone condividono con noi».
Come è strutturata la vostra giornata?
«La nostra giornata è un respiro tra preghiera, lavoro e vita comunitaria. Ci alziamo alle 5:30 e dalle 6 alle 8:30 preghiamo, lavoriamo e poi preghiamo di nuovo a mezzogiorno. Dopo pranzo c’è un momento di ricreazione, poi ancora lavoro e preghiera. Ogni momento è pensato per l’equilibrio spirituale e umano».
Qual è la preghiera più bella secondo lei?
«Il Padre Nostro. Ogni volta mi riconsegna al Padre buono».
Ha mai la sensazione che Dio non ascolti?
«Sì, capita. Ma spesso Dio ascolta non ascoltando, come in una coppia nei momenti di incomunicabilità. Bisogna aspettare e trovare nuovi linguaggi».
Un consiglio per migliorare il dialogo con Dio?
«Custodite la speranza. Dio è buono, non ci giudica con bilance rigide. Aprite il cuore al suo amore».
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